Il Sodoma alla Madonna del Monte

Nel 1995 l'architetto Paolo Ferruzzi scopre che un denso strato di intonaco sulla parete dell'altare maggiore della Chiesa della Madonna del Monte celava un affresco, L'Esaltazione dell Croce, attribuito a Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma ...


Cronaca del ritrovamento di un affresco sodomesco
Di Paolo Ferruzzi

... Quando nel 1661 il tenente Ascanio Paolini e l'affittuario delle tonnare dell'Enfola capitano Domenico Murzi, nella loro veste di operai dell'Opera di Santa Maria del Monte apprestano la costruzione dell'altare maggiore, forse non si rendono conto che l'architettura marmorea, disegnata da colonne in composito toscano a sostegno del frontone spezzato, va parzialmente distruggendo un affresco sodomesco. Forse nessuna importanza il tenente e il capitano attribuiscono a quegli angeli in volo, frescati lassù a sette metri di altezza, mentre impartiscono ordini all'imbianchino che va scialbando a bianco calce per nasconderli cosi alla vista dei fedeli che poi, per trecentotrenta e passa anni, andranno in pellegrinaggio tra quelle venerate mura costruite a ben oltre seicento metri di altitudine.

Dal 1537, anno nel quale quegli angeli vengono impostati sull'arcosoglio soprastante l'edicola e la più antica e venerata immagine della Madonna, sono passati, per il Paolini e il Murzi, ben centoventiquattro anni.

Dal pensiero illuminato della rinascimentale Signoria di Piombino, retta dal committente Jacopo V Appiano, siamo passati alla corte seicentesca dei principi Ludovisi e alla presenza ingombrante, boriosa, sprezzante dei soldati spagnoli, pavoni nelle loro divise quanto bigotti nei loro costumi, e di questi ne sono rappresentanti in loco Ascanio Paolini e Domenico Murzi.

Il tenente e il capitano forse non si preoccupano più di tanto nel distruggere parte della pittura per inchiavardarci sopra uno stemma in marmo con cartiglio su cui far spiccare le parole «REFUGIUM PECCATORUM». Tanto meno, forse, nel provare rimorso per far togliere alla vista dei fedeli quanto ricordi di un pittore che porta cucito addosso, infamante, l'epiteto di Sodoma a lui dato per quel suo amare « ... fanciulli e giovani sbarbati (...) fuor di modo ...», come riporta il Vasari nel descrivere le vite degli eccellenti pittori.

È la consistenza della malta di calce, preparata in ottima fattura quale supporto all'affresco, a far desistere l'operaio dal martellare la superficie del dipinto per farvi aderire sopra un nuovo strato d'intonaco. Perché non imbiancare semplicemente le pitture rimaste? E poi lassù, a quell'altezza, chi vi sarebbe tornato se non per dare ancora frettolose altre scialbature? E di quelle scialbature ne verranno stese quattro nel tempo, in maniera approssimativa e forse con una pennellessa legata alla sommità di una lunga pertica.

Se questo hanno pensato e fatto eseguire quei lontani operai dell'Opera del Monte, l'oblio delle pitture non è stato più per sempre ma per soli trecentotrentaquattro anni. Trecentotrentaquattro anni di silenzio, di dimenticanza, di tracce perdute nella memoria storica fino a quel 5 maggio del 1995 quando, da un traballante ponteggio, una piccola spatola metallica guidata da mano ansiosa e andata a dar nuova luce all'arte del Sodoma .... Testo tratto da "Santa Maria del Monte - Storia di un Santuario dell'isola d'Elba" di Silvestre Ferruzzi, Enrico Lombardi, Paolo Ferruzzi, Gloria Peria. 2014 Ed. Bandecchi&Vivaldi - Pontedera