Il regalo dei Cinq Codes alla Carina

Una copia originale dei Cinq Codes appartenuta a Napoleone venne regalata dall'Imperatore a una ragazza di Poggio durante una visita nel paese ed ora è esposta nella Casetta Drouot ...


A ridosso dell'antica porta che chiudeva l'anello seicentesco formato da fragili case abbracciate le une all'altre e quale sentinella vigile sull'ultimo tratto della strada di accesso al paese di Poggio si trova quella casa che viene eletta dal Conte Antoine Drouot Governatore dell'Elba come sua "petite maison di riposo" tra le arroccate mura affacciate ad ovest sulla cresta delle montagne del Giove disegnata dal Santuario della Madonna del Monte e dall'Aquila di Napoleone che, frastagliata roccia granitica, si stacca sul rosso infuocato del tramonto a simiglianza dell'emblema del Suo Imperatore che il Trattato di Fontainebleau ha relegato come sovrano dell'isola tirrenica.

Il lato lungo della casa si affianca sulla stretta rampa lastricata in granito e pausa di riposo prima di entrare nel paese dopo il tortuoso sentiero che dalla Marina, attraverso l'antica pieve di San Lorenzo e la Conce, si à inerpicato sulle Pente scoscese.



E là in quei mesi del 1814 si è più volte soffermata Elisabetta Pavolini riponendo il canestro colmo di frutta e traboccante di fiori campestri raccolti con i sogni della sua gioventù splendente.
E il Conte Drouot ne avrà ammirato la bellezza mentre inconsapevole modella viene ritratta in fugaci disegni dallo scultore Allori che nella vicina chiesa di san Defendente ingentilisce capitelli, cornici, volte con raffinati serpottiani stucchi rapportati al neoclassicismo imperante.
E il Conte Drouot rivede quella giovinetta Elisabetta incontrata mesi prima quando è venuto a Poggio assieme al Sovrano per prendere visione dei suoi possedimenti.
E la rivede mentre con un aggraziato inchino si genuflette davanti a Napoleone omaggiandolo di un bouquet di fiori di campo con animo trepidante nella consapevolezza del gesto che viene a fare perché prescelta dagli Anziani del paese per la sua beltà e gentilezza d'animo. E' consapevole di questo mentre stringe nel nastro di velluto verde quei fiori appena raccolti nei campi ridondanti di colori e profumi.

A ridosso della chiesa matrice titolata a san Niccolò, tra fasci intrecciati di mortella che disegnano lo spazio di "Piazza Vecchia", il pievano Carlo Leoni aggruppato dai paesani vestiti a festa riceve il Sovrano e i Suoi dignitari rivolgendosi in un perfetto francese arricchito da dotte citazioni latine. Poi a un cenno convenuto avanza con grazia e titubanza Elisabetta; vorrebbe dire le due parole che per ore ha ripassato cercando di imprimerle nella memoria; arrossisce, si inchina, stringe al petto il mazzolino di fiori, ha gli occhi abbassati come alla ricerca di qualche cosa che non c'è. Tace. Napoleone delicatamente con la mano le solleva il grazioso mento e le sorride; le prende dalle mani il fragile dono, ne aspira i profumi muschiati. - Come ti chiami? - chiede - Carina - risponde Elisabetta nella certezza innocente che questo sia oramai il suo vero nome perché da tutti cosi chiamata sin da quando la sua leggiadria era sbocciata dirompente. L'Imperatore, vincitore di mille battaglie, prova tenerezza, sussurra qualche parola non compresa al Governatore Drouot che è al Suo fianco; cerca qualche cosa nelle ampie tasche della sua sformata palandrana, ne tira fuori un libro di piccole dimensioni rinfoderato di pelle che racchiude i suoi" Cinq codes" scritti tra il 1804 e il 1810 e che sempre porta con sé per aggiungervi chiose, riflessioni, modifiche.

Un attendente è pronto dopo lo sguardo sempre attento di Drouot; intinge una penna nella boccetta d'inchiostro e la porge. Napoleone la prende; appoggia il volume su un leggio da viaggio e scrive: - Alla Carina perché si ricordi sempre di questo giorno e del suo Imperatore -.

Sul cominciare del 1815 Napoleone lascia l'isola per sempre; Elisabetta è presa a modella dallo scultore per essere raffigurata quale canèfora a coronamento dell'altare maggiore; si sposa, ha molti figli e altrettanti nipoti.

Poi, moltissimi anni addietro, un giovane si è visto gratificare di quel libro da una vecchia signora pronipote di quella ragazza per il solo fatto di avere rivolto il saluto di un buongiorno, di una buonasera a lei non più giovane, sola, trascurata dai più e ricevuto come buona creanza di un animo sensibile come fu quel garbato mazzolino di fiori stretti da un nastrino di velluto verde-lavanda in quell'estate del 1814.

Paolo Ferruzzi